Questa la sentivo al Banale!
La gente, la carica, la festa e quel dancefloor eternamente agitato.
Stasera è Michele a riportarci al Banale con questo suo lungo e sincero racconto.
A volte mi capita di commentare agli amici: “Questa la sentivo al Banale”.
“Last Nite” degli Strokes, “Banquet” dei Bloc Party, “Slow Hands” degli Interpol, solo per citarne alcune, sono tutte canzoni che per me nascono in quelle serate e mi riportano ad esse come un link diretto.
Così mi sono divertito a rievocare ricordi di quel locale, di quell’ambiente a suo modo “unico”, imprescindibile nelle mie uscite mondane per almeno 2-3 anni.
Sicuramente, se fosse stato per me non ci sarei mai andato. Maatt con una sorta di out out mi convinse/costrinse a frequentare locali un po’ più rockettari, dopo anni di frequentazioni di disco più tradizionali.
Il mio primo ingresso al Banale, avvenne nel 2005 poi, e dopo un periodo londinese, nel 2006 ci ritornai.
Ricordo il post Londra e i tragitti in auto con Maatt, caratterizzati da nuove playlist. I primi assaggi: i cd dei Cure e dei White Stripes, che furono una sorta di anticipazione…
Poi, a fine estate andammo a “La Gabbia” a vedere gli Aprés la Classe. Maatt mi parlò di una canzone, “Paris”, che sentiva al Banale, e che fu il motivo che ci portò alla fine a quel concerto.
Mesi dopo, “Paris” era uno di quei pezzi per i quali si perdeva la precedenza nella lunga fila per il bagno, e si ritornava velocemente in pista.
La scaletta classica ska e punk, con “Accattoro” dei Punkreas, “Cannabis” degli Ska-P, “Time Bomb” dei Rancid e poi “Blitzkrieg Bop” dei Ramones, era uno dei momenti scatenanti della serata, dove a volte arrivavano persino le reprimende dalla consolle.
“Al Banale non si poga smettete di pogare o ritorniamo all’hip hop!”
Capitava poi, finita questa serie di canzoni, che non ci fosse margine di tempo per tornare a far la coda per il bagno, quindi si scappava fuori dal locale direttamente in parcheggio, dietro i tir parcheggiati.
I primi sabati al Banale, mi ritrovavo da una parte divertito, nel mezzo di una pista euforica, con canzoni cantate e ballate sfrenatamente, sbattuto qua e là tra gruppi di ragazzi, mentre dall’altra mi sentivo fuori contesto, perché molte canzoni nemmeno le conoscevo ed erano al di fuori dei miei ascolti tradizionali.
La grossa soddisfazione arrivava nel momento elettronico della serata, dove finalmente potevo ballare pezzi di gruppi che incredibilmente non venivano mai proposti nelle “disco classiche” dai Prodigy, a Fatboy Slim, ai Chemical Brothers, i miei preferiti sia in adolescenza che in quel momento.
Nelle prime serate, se qualcuno mi chiedeva di indicare gli aspetti più positivi del locale, potevo sintetizzarli: nel momento elettronico in pista, l’entrata gratuita con tessera, le birre a basso prezzo e soprattutto l’accesso unico ai bagni uomini e donne, che era l’occasione, durante la coda, per scambiare qualche parola con una ragazza.
Gli stessi bagni che ricordo, almeno in un paio di serate, finirono completamente allagati, con noi che finivamo per usare ancora una volta i “bagni bis” del parcheggio.
Del locale, ricordo all’ingresso, l’immediato intenso odore di fumo, la sala fumatori che da quel punto di vista era praticamente inutile, il muro nero con un grosso buco che ci chiedevamo come fosse stato fatto, i tralicci di fianco la consolle e nel lato opposto, che si riempivano di maglie appese, comprese le nostre, che speravamo di ritrovare poi a fine serata, e poi ricordo tanti altri dettagli, dagli sgabelli ai tavolini, gli scalini a bordo pista che verso fine serata diventavano decisamente ostici.
In quei primi mesi Maatt conosceva già molte canzoni proposte nelle serate, ma lo vedevo recarsi ancora in consolle a chiedere qualche titolo, il resto lo ricercavamo via Wikipedia e YouTube. Maatt tramite l’acquista/rivendi su ebay riusciva a finanziare e ad ampliare di giorno in giorno la sua collezione di cd ed ogni week end in macchina me ne proponeva uno diverso.
Il preserata, di solito lo trascorrevamo al Gasoline, tra qualche birra e una partita di biliardo. Conoscemmo Elena, una delle bariste, amante dei Joy Division che ci soprannominò i “Joy” quando vide Maatt indossare la maglietta della band.
Da quel momento al Gasoline eravamo il “tavolo Joy” per lei, per Max, e per le altre bariste (che magari non ne capivano il motivo).
Mentre io mi vestivo casual, per non dire “alla cazzo” (a proposito conservo ancora per ricordo i vecchi jeans e la felpa che indossavo praticamente ogni sabato), Maatt sfoggiava ogni sera una maglietta diversa.
Sfruttando le qualità di brava sarta di sua madre, si fece cucire i nomi delle band preferite sulle t-shirt. Ricordo le magliette “artigianali” degli Ska-P, dei CCCP, dei Subsonica: indossava delle vere e proprie magliette musicali homemade.
Spesso arrivavamo prestissimo al Banale, ricordo il freddo d’inizio serata, perché tante volte eravamo lì tra i primissimi. Noi, le bariste e pochi altri, tutti praticamente con il cappotto addosso.
Ricordo che a volte l’attesa di un incontro, specie dopo uno “speedy message” inviato in settimana su Spritz.it, mi rendeva particolarmente fremente in quegli inizi serata, e più per quello che per il freddo, da seduto sullo sgabello fronte bagno tremavano i denti e agitavo i piedi.
Ancora oggi, associo qualche frequentatore/frequentatrice del Banale col nickname di Spritz, visi noti di cui non abbiamo mai conosciuto il nome reale. Spritz.it, con l’area blog rappresentava un po’ il periodo pre social e a volte le serate “banali”, finivano per diventare oggetto di post e commenti nei blog.
Dei frequentatori del locale, ho ancora il ricordo di molti visi, molti altri me li sarò certamente dimenticati. Sicuramente indimenticabili alcuni personaggi “coloriti”: il più particolare forse, un ragazzo, che arrivava improvvisamente nella pista strapiena e riusciva a crearsi intorno a sé uno spazio per esibirsi in qualche passo di danza ad “ampio raggio”. Ogni tanto riusciva a guadagnarsi un ballo con qualche ragazza, salvo poi rovinare tutto con qualche comportamento o gesto per così dire “fuori dai canoni”. Una sera, i primi di gennaio, si presentò addirittura nel locale in tunica e bastone da pastore…
Al Banale estivo invece, ricordo che qualche volta indossavo una maglietta dell’Irlanda. C’era un gruppo di ragazzi irlandesi che mi si avvicinavano, e mi chiedevano: “Are you Irish?”, e senza che avessi il tempo di rispondere iniziavano a cantarmi il loro inno, la stessa identica scena si ripeté in almeno 2-3 serate.
E poi c’erano gli Erasmus spagnoli, particolarmente chiassosi, un ricordo del venerdì sera in proposito: Dj Buffa ad un certo punto prese il microfono e disse: “scusate, devo mettere questa, così gli Erasmus smettono di chiedermela” e mise una canzone, credo di Julieta Venegas, la stessa che mi propinavano i miei amici spagnoli dei tempi londinesi….
Ricordo poi una sera un gruppo di ragazzi che si esibirono in una coreografia improvvisata del video di “Praise You” di Fatboy Slim, ed io che adoravo quella canzone e quel video, li guardavo con tutta la mia ammirazione.
Dopo qualche mese, il sabato sera al Banale era irrinunciabile, e la musica che ascoltavo quelle sere, era la stessa che poi ascoltavo durante la settimana. La playlist era ormai ben definita nella mia mente.
Ricordo le varie fasi della serata, l’inizio 60’e ‘70, “Break on through” dei The Doors, “You Really Got Me” dei Kinks,”These Boots Are Made For Walking” di Nancy Sinatra, oltre a “Mrs Robinson” in versione Lemonheads e “Misirlou” dalla colonna sonora di Pulp Fiction.
Da metà serata, la pista era piena e particolarmente movimentata, gente con i bicchieri traboccanti che si sbatteva l’uno con l’altro senza remore, con il pavimento che inevitabilmente si bagnava e con esso a volte i miei vestiti.
Si susseguivano senza che ricordi un ordine preciso, gli anni ’80: “Smalltown Boy”, “Spin Me Right Round”, “Enola Gay”, “Call Me”, “The Passenger”, un paio di canzoni post punk, i Cure, i Joy Division, l’indie rock: “I Predict a Riot”, “Last Nite”, “Take me out”, i capisaldi dei 90’s: i Pulp, i Blur, i Placebo, il momento elettronico, “Disco Labirinto”, “Born Slippy”, la scaletta ska punk, e poi la musica italiana, da canzoni più nazionalpopolari, di Rino Gaetano, la Carrà, la Rettore, a canzoni che avrei potuto sentire solo al Banale, come “La Guerra è finita” dei Baustelle.
E poi c’era spazio ancora per balli sfrenati con “Kalashnikov” di Goran Bregovic o “Il Ballo di San Vito” di Vinicio Capossela: a volte venivamo coinvolti anche noi in quel momento collettivo quando ognuno sottobraccio con l’altro si creavano quei cerchi in pista, e c’era chi improvvisava un balletto (e chi se la cavava alla grande), mentre io davo il meglio di me stesso, cantando sguaiatamente quel momento “la, la , la, laaaa”, della canzone.
Poi arrivava la sequenza“hard rock dove il pogo era più consentito, che io assistevo da appoggiato alla parete, con i classici “Toxicity” e “Killing in the name”
Quindi il finale di serata con le scene più divertenti… abbracci casuali, qualche caduta rovinosa, qualche intruso che s’infilava dietro la consolle. Una sera un paio di ragazzi sollevati a trionfo e lanciati in aria mentre suonava “Anarchy in the UK” , o quella volta che persi di vista mio fratello ed a un certo punto lo vidi, arrampicato in cima ad uno dei tralicci a torso nudo, sventolando la maglietta e senza una scarpa.
La più classica delle canzoni pre-chiusura era “Where’s my mind?” dei Pixies, che era anche il momento in cui si realizzava il più o meno basso tasso di lucidità … e poi c’erano le candidate a canzone di chiusura “Male di Miele”, “Sonica”, “Idioteque”, la cover unplugged dei Nirvana di “The Man Who Sold The World”, ma a volte i dj venivano spodestati e si chiudeva inaspettatamente con Bob Sinclar.
A luci accese si recuperava la felpa e si tornava in parcheggio, erano i primi anni della stretta sul tasso alcolico alla guida, e noi testavamo il nostro livello con l’etilometro comprato da Mediaworld….
A distanza di anni, rimane un po’ il rammarico di non aver frequentato già da qualche anno prima il Banale.
Me lo hanno raccontato altri, e non solo riferendosi ai dj set, c’era chi aveva assistito a spettacoli teatrali, chi di cabaret, chi ad un concerto, e poi c’era chi tornò con noi al Banale dopo qualche anno e che ci ripeteva “questo locale si è imborghesito”.
Senza nulla togliere all’aspetto ludico, alla voglia di ballare, di fare festa, di far tardi che era comunque il leitmotiv delle nostre serate “banali”, ebbi modo di conoscere persone veramente appassionate e affezionate, a gruppi e canzoni suonate al Banale.
Pur rimanendo un ascoltatore di musica molto superficiale, posso dire che finirono a loro modo, per coinvolgermi. Certi concerti, certi festival, le più belle esperienze musicali degli anni a venire in un certo senso furono per me figlie di quei sabati “banali”. La scorsa estate al concerto degli Ska-P all'Home Festival, quando suonarono “Cannabis”, tra me e me era come commentassi “questa la sentivo al Banale”.
UN GRAZIE GRANDE A MICHELE PASQUALETTO PER IL SUO RACCONTO…